“E finalmente la voce. La voce materna che segna per sempre col suo marchio il bambino. Egli la conosce, questa voce, molto prima di vedere la luce. È come tessuto sul suo ordito, sulle sue sfumature, le sue inflessioni, i suoi umori”
(F. Leboyer)
Il feto, nel liquido amniotico, è immerso nei suoni: già verso la 16a settimana di gestazione inizia a reagire ai suoni e a 27 settimane riesce a distinguere tra suoni diversi. Nella vita intrauterina, il feto ascolta e percepisce suoni e voci, risponde agli input sonori ed è capace di memorizzare esperienze che hanno anche degli effetti a livello emotivo. Il battito cardiaco della mamma è il suono più familiare per il feto e lo stesso battito cardiaco, infatti, viene memorizzato e ha il potere di calmare e fare addormentare il bambino appena nato; i neonati sono anche in grado di riconoscere musiche e favole ascoltate nell’utero materno.
Nella vita intrauterina avvengono le prime esperienze di comunicazione (che sia una comunicazione attiva e intenzionale o un ascolto di suoni, come avviene con la musica) che influenzano lo sviluppo del cervello e delle strutture linguistiche dopo la nascita. Importanti ricerche hanno dimostrato che bambini tra i 10 e i 18 mesi che sono stati più coinvolti dalla madre nella comunicazione intenzionale durante gli ultimi mesi di gravidanza, avevano un vocabolario particolarmente ricco rispetto ai loro coetanei.
Comunicare con il feto, parlando o raccontando e leggendo storie o cantando, permette a questi di abituarsi alla voce dei genitori, voce che riconoscerà al momento della nascita e che avrà la funzione importantissima di rassicurarlo in quei momenti di “smarrimento” dopo la nascita. Allo stesso tempo, parlando con il bambino durante la gravidanza, i genitori possono abituarsi alla sua “presenza” facendogli spazio nella loro vita e nella loro mente; la mamma, in particolare, si abituerà al fatto che il proprio figlio è una parte di sé ma è, comunque, diverso da lei. Inoltre, già durante la gravidanza, può attivarsi un vero e proprio dialogo tra i genitori e il feto che risponde in maniera diversa (stando fermo, dando calcetti, facendo capriole) agli stimoli che gli vengono forniti.
Una bellissima e utile forma di comunicazione con il feto è rappresentata dalla lettura. Leggere ad alta voce, accarezzando la pancia, magari utilizzando anche un sottofondo musicale, può essere un momento di benessere in cui mamma e papà possono fermarsi, rilassarsi e abbandonarsi alle fantasie relative al diventare genitori.
La comunicazione con il feto favorisce lo sviluppo dell’attaccamento già prima della nascita.
In merito all’importanza di comunicare con il feto, è interessante il contributo di Edwin E. Gordon, che sottolinea come la voce materna ha una funzione molto potente in quanto non raggiunge il feto soltanto a livello uditivo ma anche a livello tattile poiché i suoni emessi dalla madre arrivano al feto come delle vibrazioni che si propagano nel liquido amniotico e, dunque, vengono percepite sulla propria pelle come una sorta di massaggio. Ciò dà proprio l’idea di quanto intensa sia l’esperienza della comunicazione intrauterina e rende chiaro come ascoltare il battito cardiaco e la voce della madre possa calmare il bambino appena nato.
Comunicare con il feto ha un’importante influenza sul suo sviluppo cognitivo e affettivo dopo la nascita, ma bisogna considerare che il neonato percepisce la componente affettiva della comunicazione.
Dunque, la parola, per “nutrire” davvero il bambino, deve fare parte di un codice più ampio fatto di corpo, di emozioni, di toni affettivi, di contatto, di gesti, di espressioni facciali, altrimenti resta una parola vuota, priva del suo significato simbolico.