In un precedente articolo del mio blog (che trovi qui), ho preso in prestito dall’antropologo Stefano De Matteis la metafora del processo di evoluzione dell’aragosta per parlare dell’importanza di lasciare andare i condizionamenti personali e culturali, con cui ci imprigioniamo e ci limitiamo, per dare avvio ad un processo di crescita personale e di cambiamento.
L’aragosta sa quando è il momento di cambiare la propria corazza, e lo fa da sola. Quando cresce, e la corazza diventa troppo stretta, se ne libera per far si che se ne formi un’altra, più adatta alle sue nuove dimensioni.
Anche noi essere umani abbiamo una corazza, fatta di difese, credenze, abitudini, pensieri, emozioni. Tutto ciò può essere molto radicato: rappresenta le nostre certezze, tutto ciò che per molto tempo probabilmente è stato davvero utile perché ci è servito per sopravvivere, per darci delle spiegazioni, per comprendere noi stessi e il mondo circostante. Ma noi cambiamo continuamente, e di conseguenza anche le nostre esigenze. Accade, dunque, che alcune di queste “certezze”, ad un certo punto della nostra vita, non siano più adatte alle nuove necessità che la crescita e le esperienze di vita ci impongono. Allora, quelle certezze (la nostra corazza) iniziano a fare male; prendono la forma di condizionamenti che ci imprigionano e con i quali ci costringiamo ad una vita adattata, non autentica, in cui ci comportiamo in un certo modo solo per compiacere o per abitudine. Tutto ciò è spesso inconscio, ma magari viene fuori con un qualche tipo di sofferenza, con un sintomo: stiamo male ma non sappiamo perché. Nonostante ciò, facciamo fatica a lasciarle andare perché, comunque, rappresentano la nostra zona di comfort.
Per gli esseri umani, abbandonare la corazza ha delle implicazioni emotive molto forti. Per quanto certi cambiamenti siano necessari per non provare più dolore, non sono così scontati e facili da raggiungere proprio per via di tutte le difese, le credenze e i vissuti che sono la stessa essenza della corazza. Il classico circolo vizioso, in parole povere!
Capita molto spesso, dunque, che ci adattiamo a situazioni sgradevoli o addirittura dolorose, perché queste rappresentano una certezza, e l’idea di lasciare andare le certezze è ancora più spaventosa del dolore che queste ormai provocano.
Ti sembra assurdo? Non lo è, e capita molto più spesso di quanto crediamo.
A differenza dell’aragosta, a volte noi non riusciamo da soli ad abbandonare la nostra corazza.
In che modo la psicoterapia può aiutare ad uscire da questa gabbia psicologica in cui ci siamo imprigionati, e favorire il processo di cambiamento?
La psicoterapia fornisce un ambiente sicuro e di supporto, privo di giudizio, dove è possibile esplorare e imparare a riconoscere pensieri, emozioni, comportamenti, credenze, difese e tutti gli altri elementi che formano la nostra corazza. Ciò proprio al fine di avviare un processo di comprensione e consapevolezza, prima, e di cambiamento, poi.
Spesso, infatti, non siamo consapevoli delle nostre corazze, delle abitudini e credenze che abbiamo sviluppato nel corso del tempo e che, ad un certo punto, diventano limitanti, causando un notevole disagio (ovvero, il sintomo, che sia psichico o somatico). La psicoterapia permette di fare luce sul modo in cui si è formato questo guscio, ovvero aiuta ad esplorare l’origine del disagio, come si manifesta oggi e in che modo influenza la quotidianità.
Questo implica esplorare come si vive la quotidianità, le relazioni, affrontare esperienze passate, eventuali traumi o situazioni dolorose.
Il terapeuta favorisce il processo di consapevolezza e di cambiamento fornendo ascolto, supporto emotivo, strumenti per elaborare e integrare le esperienze passate nel presente, favorisce la sperimentazione di nuove modalità di pensiero e comportamento e la scoperta di modalità più adattive e flessibili che possano sostituire le vecchie corazze.
È sempre un lavoro che si fa in due. Non è il terapeuta che lavora al posto del paziente, si lavora insieme. E, soprattutto, non esiste una modalità standardizzata che va bene ogni volta per ogni persona: ogni momento della terapia è una costruzione ad hoc per una specifica persona e per quello che porta in seduta.
Può accadere che, durante il percorso psicoterapico, si sperimentino vissuti di impotenza, paura, vulnerabilità (proprio come dice De Matteis parlando dell’aragosta). Non è semplice e immediato rompere modalità strutturate e consolidate. È proprio nella stanza di terapia, però, che è anche possibile esplorare questi vissuti ed utilizzarli a favore del cambiamento.
Dunque, grazie ad un lavoro in tandem, il paziente può raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, e vedere la vulnerabilità non come una debolezza, ma come una parte necessaria del processo di crescita e trasformazione personale che allevia il disagio.
La psicoterapia permette di uscire dalla gabbia psicologica in cui ci siamo imprigionati, di abbandonare la “corazza”, e di indossare un abito più comodo e più adatto alle esigenze e ai desideri attuali, favorendo il benessere e la realizzazione personale.
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